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          "Vi sembrerò matta..." 
           
          di Adriana Perrotta Rabissi e Stefania Olivieri 
         
           
           
           
           
          Negli ultimi tempi ho colto, frammentariamente, alcune opinioni di donne, 
          giovani e adulte, sul lavoro. 
          Per una donna come me, nata nel decennio 40-50 del secolo scorso, la 
          prospettiva di lavorare si intrecciava con , anzi direi che era la condizione 
          necessaria per iniziare, un percorso di sottrazione a un destino sociale 
          verso il quale mi sentivo ancora pericolosamente pencolante. 
           
          E' pur vero che per tutti gli anni del liceo sono stata convinta che 
          sarei diventata dirigente di un'industria chimica, possibilmente in 
          un paese dell'Africa del Nord, mentre poi all'Università mi sono 
          iscritta, senza tante esitazioni, a Lettere e sono diventata insegnante 
          (lavoro tra i più vicini al ruolo di cura al quale sono "destinate" 
          le donne), ma la mia attività mi ha dato comunque, oltre tutto 
          il positivo della relazione con le/gli studenti, la possibilità 
          di essere indipendente e autonoma dal punto di vista economico (pur 
          nelle ristrettezze di uno stipendio da insegnante). 
           
          Eppure ho ripetutamente criticato l'organizzazione attuale del lavoro, 
          nella sua doppia faccia di lavoro pagato: per il mercato, e non pagato: 
          di cura; partendo anche dalla mia situazione personale di donna sposata 
          e con figli. 
          La soluzione non poteva essere certamente quella di ritornare ad una 
          dimensione di "casalinghitudine", per sfuggire allo sfruttamento 
          del mondo produttivo (con tutto il carico per le donne di segregazione, 
          orizzontale e verticale, di disparità salariale
), ma neppure 
          quella di sostenere con il sorriso sulle labbra carichi e orari di lavoro, 
          in casa e fuori, stressanti e avvilenti. 
           
          Il mio lavoro poi, malgrado tutta una serie di riserve, mi appariva 
          un'oasi di "quasi" felicità. 
          Personalmente avevo scelto un marito che fa il mio stesso lavoro e che 
          ama impegnarsi nel lavoro di cura, pur avendo entrambi "ambiti 
          di specializzazione", concordata senza conflitt,i nella nostra 
          vita di coppia.. 
          Dichiarata la mia posizione, mi accorgo che esiste un panorama variegato 
          di comportamenti che occorre valutare con attenzione, evitando di stigmatizzare 
          atteggiamenti e scelte di vita e di lavoro diverse dalle nostre.  
           
          Mi riferisco ad esempio al discorso che Sara 
          Ongaro affronta nella sua relazione dal titolo Resistenza creativa, 
          presentata allo Sconvegno del 4 maggio a Milano, che richiama l'attenzione 
          sul fenomeno della resistenza, opposta da molte giovani donne di oggi, 
          ad un sistema complessivo di vita e di lavoro che non le appaga, e che 
          rifiutano con strategie per noi -penso io, donne adulte- insolite. 
          Sara invita anche a non leggere automaticamente in termini di oppressione 
          e infelicità quello che per altre è invece frutto di risorse 
          e capacità, mobilitate in un progetto di vita diverso. 
          Leggo anche, nella mail di una lista di donne, questo discorso, sempre 
        di una giovane donna (Stefania Olivieri) 
        "[
] 
          vi sembrerò matta, ma volevo chiedervi se qualcuna di 
          voi sa della possibilità di lavorare in Libreria a Milano.... 
          Purtroppo,avendo mutuo casa da pagare non posso offrirmi come volontaria 
          per la 
          Libreria delle donne, anche se mi sarebbe piaciuto... 
          Attualmente lavoro in un quotidiano (cattolico, avete presente "Avvenire"?), 
          redazione 
          economia e lavoro. Tre anni con ripetuti contratti a termine e orari 
          impossibili (10 mattina 10 sera, più o meno) mi hanno un po' 
          snervato....avrei voglia di provare altro. Sarà un'utopia, ma 
          sono 
          laureata in scienze politiche, indirizzo sociologico, mi interessano 
          tutti i campi del sociale, collaboro anche con un ufficio stampa di 
          un 
          sindacato e dunque non mi spaventa organizzare iniziative di qualunque 
          tipo e a volte mi chiedo se è così impossibile trovare 
          altre 
          prospettive. non mi interessa "fare i soldi" ed ho anche scritto 
          a 
          Terre di mezzo inviando curriculum; inutile dire che non ho ricevuto 
          risposta. Non so, ripeto, vi sembrerò folle, ma vorrei smuovere 
          qualcosa 
          della mia vita, cambiare, rinnovarmi e trovare un lavoro che mi dia 
          la 
          possibilità di esprimermi senza triturarmi il cervello...E magari 
          mi 
          consenta di fare qualcosa di utile (non che scrivere non lo sia, anzi!) 
          per gli altri. 
          un abbraccio a tutte e scusate lo sfogo!  
          Stefania" 
           
          L'ho riportato interamente perché mi sembra esemplare, anche 
          questo testo oltre a quello di Sara Ongaro, per potenzialità 
          di analisi sul modo di rapportarsi al lavoro da parte di una nuova soggettività 
          femminile, maturata in anni di mutamenti nel costume sociale, nella 
          composizione del nucleo familiare, nella sensibilità personale, 
          nella legislazione sul lavoro delle donne, e, in parte, nell'organizzazione 
          stessa del lavoro; ma al contempo questo breve racconto d'esperienza 
          testimonia le enormi difficoltà che incontrano le giovani donne 
          oggi, più consapevoli e attente di noi, ma gettate in un mondo 
          più "selvaggio" e sregolato, forse. 
          E' possibile che ne ragioniamo insieme? 
           
           
           
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